Analisi completa su l' Iran: Cambiamento di Regime o illusione Strategica?

Iran: Cambiamento di Regime o illusione Strategica? Analisi Completa

Di Paolo Falconio

Member of the Consejo Rector de Honor and lecturer at the Sociedad de Estudios Internacionales (SEI) di Madrid, Presidente Onorario: Sua Maestà Re Felipe VI di Spagna

Ex Membro della Faculty della LUISS Business school

“Un’analisi affascinante e raffinata che colpisce per la profondità dello sguardo storico e la lucidità nel mettere a nudo i paradossi della geopolitica contemporanea. Il testo coglie una verità troppo spesso ignorata: l’Iran non è solo un problema di regime, ma una civiltà con radici troppo profonde per essere modellata secondo schemi esterni.

L’ articolo disegna magistralmente un quadro in cui la spinta al cambiamento rischia di innescare trasformazioni imprevedibili, capaci persino di rafforzare un’identità imperiale assopita ma mai estinta. Lo scenario prospettato dall’ Autore — in cui un’eventuale caduta della teocrazia potrebbe far emergere un Iran più sofisticato, coeso e forse ancor più assertivo sul piano geopolitico — solleva interrogativi cruciali: siamo davvero pronti ad affrontare l’Iran che verrà?

Un Iran post-teocratico potrebbe non essere automaticamente filo-occidentale. Alcuni osservatori temono che, una volta liberato dal vincolo ideologico degli ayatollah, l’Iran possa riscoprire una vocazione imperiale e pan-regionalista, magari più raffinata ma non meno assertiva.

Infine Israele, che potrebbe trovarsi di fronte a un Iran meno prevedibile ma più legittimato sul piano internazionale.

Il richiamo finale alla geografia come vincolo strutturale in geopolitica è una chiusura lapidaria e impeccabile.”

Il progetto di un cambio di regime in Iran. Il carattere iraniano.

Il progetto israeliano di innescare un cambio di regime in Iran–condiviso anche dagli apparati statunitensi, in particolare la CIA–resta uno degli obiettivi principali di Tel Aviv, considerando che la Repubblica Islamica, in Costituzione, promuove la distruzione dello Stato di Israele. Tuttavia, per la sicurezza israeliana, potrebbe essere più efficace l’approccio di Donald Trump che ha abbandonato la retorica Neocon e Democratica dell’esportazione della democrazia, e concentra la pressione sulla fine del programma nucleare iraniano.

Infatti, resta incerto che tipo di governo potrebbe emergere da un eventuale collasso del regime degli Ayatollah. La realtà è che l’Iran non è un’entità omogenea, ma è una realtà della storia con una vocazione imperiale: è un’antica civiltà, erede di tremila anni di storia e cultura, composta da etnie diverse (Persiani, Azeri, Curdi, Arabi) e tradizionalmente antagonista dell’Occidente. Qualunque cambiamento interno avverrebbe attraverso una traiettoria profondamente persiana, piuttosto che con un ritorno al filo-occidentalismo del tempo dello Scià – una scelta che, in fondo, ne decretò anche la fine. La storia non si ripete, ma ammonisce ed è utile ricordare che le forze endogene dell’ Iran si incarnarono in Mohammed Mossadeq. Presidente Iraniano democraticamente eletto di matrice nazionalista, subito deposto dopo aver nazionalizzato l'industria petrolifera, dal colpo di Stato colpo di Stato del 1953 ad opera scià di Persia Mohammed Reza Palavi. Il quale da carnefice divenne vittima della rivoluzione Khomeinista. Di Mossadeq rimasero famose le sue parole che forse meglio di tanti ragionamenti indicano il carattere iraniano: «Non intendo presentare alcun appello contro una condanna a morte e non accetterò nessun perdono, anche se lo Scià deciderà di accordarmelo. Il perdono è per i traditori ed io sono invece la vittima di un intervento straniero.»

Il Panorama Regionale

A livello regionale, lo scenario è ancor più complesso: neanche gli USA desiderano che una potenza regionale egemonizzi il Medio Oriente, nemmeno Israele. E infatti sono quattro i contendenti a potenza regionale –Turchia, Israele, Iran e Arabia Saudita.

Sul piano militare Israele e Turchia sono sicuramente le due potenze regionali.

Sul piano imperiale, ossia la percezione che un popolo ha di se stesso, le due potenze sono l’Iran e la Turchia.

Fatta questa distinzione per approssimazione cerchiamo di capire quali potrebbero essere le conseguenze e i desiderata degli attori nella Regione.

Turchia e Arabia Saudita giocheranno un ruolo cruciale nel cercare di influire il futuro dell’Iran, ma in modi molto diversi e spesso in competizione tra loro.

La Turchia, sotto la guida di Erdoğan, si propone come mediatore regionale, ma con ambizioni imperiali ben radicate. Ankara ha intensificato i contatti diplomatici per contenere il conflitto tra Israele e Iran, preoccupata sia per la stabilità regionale sia per i rischi ambientali legati agli impianti nucleari iraniani vicini al confine turco. Inoltre deve fare fronte ad una pressione interna che è cruciale nella sua ottica espansiva. Ossia la sua appartenenza all’ Umma , un fatto che la ha costretta a mascherare i rifornimenti del petrolio azero ad Israele. Nel sogno ottomano perseguito dalla Turchia vi è la mira a espandere la propria influenza nel Levante e nel Caucaso, e un Iran indebolito potrebbe aprire spazi strategici per Ankara.

L’Arabia Saudita, invece, si muove con maggiore cautela. Dopo anni di rivalità con Teheran, Riyadh ha recentemente cercato un riavvicinamento, anche grazie alla mediaavia, la monarchia saudita resta sospettosa: un Iran troppo forte o troppo vicino all’Occidente potrebbe minacciare l’equilibrio regionale e l’egemonia sunnita. Per questo, l’Arabia Saudita si propone come interlocutore tra le parti, cercando di mantenere un Medio Oriente stabile per proteggere i propri interessi economici e geopolitici.

In sintesi,

Turchia e Arabia Saudita non vogliono un Iran egemone, ma nemmeno un collasso incontrollato. Entrambe cercano di influenzarne il destino, ma con agende divergenti: Ankara punta a un ruolo attivo e assertivo, Riyadh a una stabilità calcolata. E in questo gioco a scacchi, l’Iran resta un attore difficile da contenere.

Infine Israele, che ha nel regime degli Ayatollah il suo nemico mortale, ma un Iran troppo occidentalizzato potrebbe risultarle scomodo, una diminutio della sua esclusività come bastione degli USA nella Regione.

In questo quadro necessariamente generico va considerato che sebbene al momento Washington abbia come obiettivo primario l’Iran. In subordine vede con preoccupazione la proiezione di Ankara nel Mediterraneo per arrivare all’ Oceano. Al momento la tollera per esigenze tattiche, ma è chiaro che il Pentagono considera la Turchia una presenza da contenere, e l’Iran potrebbe rivelarsi un argine più efficace dell’Arabia Saudita.

Il nodo della questione e il possibile coinvolgimento degli USA

In questo contesto, il vero nodo non è tanto l’abbattimento del regime, quanto la neutralizzazione del potenziale nucleare iraniano. Il sistema degli Ayatollah è oggi più fragile sul piano interno, ma resta profondamente radicato nella società. Quanto potrebbe durare dopo una sconfitta militare di tal fatta resta un’incognita.

L’ enorme dispiegamento di forze militari americane potrebbe essere l’estremo tentativo di Trump per convincere l’Iran, attraverso la diplomazia della forza, a rinunciare al nucleare e tuttavia vi sono moti fattori esogeni che potrebbero portare ad un coinvolgimento americano. Tra questi non va sottovalutato il desiderio di rivalsa per i 444 giorni nei quali il personale diplomatico americano fu tenuto in ostaggio nel 1979 durante la rivoluzione Khomeinista. Vi apparirà anacronistico, ma è un sassolino che non ha mai smesso di dolere in alcuni degli apparati americani. Un coinvolgimento diretto tuttavia comporterebbe inevitabilmente un’escalation nelle tensioni con Cina e Russia, per le quali l’Iran rappresenta un punto cardine per la loro proiezione in Medio Oriente. La Russia che ha stretto un accordo di partenariato strategico di tipo economico ha grandi progetti per una rotta nord sud di cui l’ Iran è il terminale, ma va detto che si è ben vista da pregiudicare i suoi rapporti con Israele non fornendo alla Repubblica Islamica i sistemi antiaerei S400 che avrebbero potuto mettere in seria difficoltà l’ aeronautica israeliana.

Diverso il discorso per la Cina che oltre ad essere uno dei terminali del petrolio iraniano (assieme al Giappone ) ha anche effettuato grandi investimenti infrastrutturali nel suo progetto delle linee della seta. Da poco era stata inaugurata una tratta ferroviaria che dalla Cina arrivava all’ Iran.

La postura Iraniana nel conflitto

Infine, l’Iran, malgrado la retorica, non ha ancora chiuso lo Stretto di Hormuz (basterebbe affondare qualche nave tanto è stretto e con fondali bassi) né colpito siti strategici, come le centrali nucleari israeliane. Teheran sa che se non venisse a patti o se puntasse ad un conflitto di lungo periodo scatenerebbe la risposta distruttiva americana. E sebbene nessun altro al mondo, oggi, può eguagliare una simile proiezione di forza, la battaglia è esistenziale per Teheran e se non avrà alternative la combatterà. Una battaglia già persa, ma il cui frutto della vittoria potrebbe essere fugace.

Quale Iran dopo la Repubblica Islamica e l’ incognita Pakistan

Ogni trasformazione profonda innesca forze latenti nella cultura di un popolo. Quando il contenitore istituzionale crolla, ciò che emerge non è un vuoto, ma qualcosa di antico, magari sopito, ma mai estinto.

La teocrazia lascerebbe il posto ad un nuovo soggetto di governo che potrebbe paradossalmente rivitalizzare la rivendicazione della primogenitura di un principio creatore unico (identificato originariamente nello zoroastrismo) e contemporaneamente il ritorno alle radici dell’ Impero Persiano che neppure la teocrazia più opprimente è riuscita a fare dimenticare. A tal proposito vale la pena ricordare che la repressione più dura del regime nel 2022 avvenne perché il popolo stava organizzando il pellegrinaggio, vietato dagli Ayatollah, alla tomba di Dario II. Persino la corrente sciita trova la sua genesi nella necessità di far convivere l’ Impero con l’Islam. In sostanza Israele potrebbe generare le condizioni per la restaurazione di un avversario molto più pericoloso perché culturalmente raffinato, con profonde radici storiche, una idea imperiale di sé mai sopita e che potrebbe anche godere di simpatie oltreoceano.

Gli esempi nella storia non mancano a partire dalla Turchia post-ottomana: La rivoluzione kemalista abolì il califfato e trasformò un impero islamico teocratico in una repubblica laica e modernizzatrice. Ma la tensione tra laicismo e identità islamica non si è mai davvero sopita e oggi rinasce sotto nuove forme, proprio come potrebbe accadere in Iran.

Ma questo ritorno all’ identità culturale imperiale dopo la trasformazione o il crollo di uno Stato si può ravvisare anche in Cina o nella stessa Russia. Tutto questo per dire che non è un’ ipotesi di scuola.

Inoltre c’è un ulteriore rischio in questo scenario post Repubblica Islamica. L’ Iran rimarrà sempre una nazione islamica e a guardare bene la cartina geografica si dovrebbe considerare la possibilità tutt’altro che remota che scivoli verso il Pakistan, una Nazione con grandi problemi, ma gente dura e dotata di armi nucleari. Uno scivolamento che andrebbe ad incidere, se non a compromettere gli equilibri già precari nell’ Indo pacifico (oltre a quelli medio orientali). La postura aggressiva Pakistana in questa vicenda che ha minacciato Israele nel caso usi il suo arsenale nucleare contro l’ Iran e l’ invio di camion militari sempre in Iran dopo la prima ondata di attacco israeliana, sono elementi sufficienti a valutare seriamente questa eventualità. Uno scenario comunque fortemente sgradito all’ altra nuova potenza emergente. L’ India, estremamente preziosa nel contenimento della Cina. Tutti questi fattori dovrebbero spingere i decisori politici a riflettere attentamente sulle conseguenze di questa vicenda che vanno ben oltre l’area medio orientale.

Conclusioni

Questa è gente che sta al mondo da 5.000 anni e anche se il loro territorio venisse spianato dalle bombe americane, né Israele, né gli Stati Uniti hanno la volontà di mettere gli scarponi in Iran. Provare a smembrarlo con operazioni segrete, oltre che assai complicato sarebbe deflagrante per l’ intera Regione e come abbiamo visto non negli interessi delle potenze locali. Dopo i disastri degli interventi nel Medio Oriente avvenuti negli anni scorsi anni, forse sarebbe corretto soffermarsi per chiedersi se esista un piano per il dopo.

A prescindere dalle influenze esterne che subentrerebbero nel vuoto politico, ci dovremmo chiedere se si siano valutate a fondo le conseguenze di cosa significhi un Iran che esca dalla dimensione di paria internazionale.

Ben venga la caduta di un regime oscurantista, ma non mi illudersi troppo sul dopo, soprattutto sul lungo periodo, perché le ceneri non dureranno per sempre e dobbiamo avere la consapevolezza che siamo di fronte ad un popolo ( non solo il clero) con profonde radici culturali imperiali e che non vuole essere occidente. Nella migliore delle ipotesi sarà una democrazia, ma rimarrà la patria dello sciismo e conterrà sempre il germe dell’ impero. Il giorno in cui l’ Iran, eleggerà davvero un suo Presidente, cosa ci fa credere che gli interessi non saranno i medesimi di quelli attuali? In Geopolitica la geografia detta le regole.

Dr. Paolo Falconio

Tutti i diritti riservati


Commenti

  1. Submitted by Dr. Raimondo Anna MONTANARI (https://www.linkedin.com/in/ACoAAENJRfkBM39Ka6gIkW4GhitOxhfaYEnwUWI):
    And as History teaches,
    We should all be as careful as Ulysses was.

    In the Odyssey, Ulysses met the Sirens, at a crucial moment of his return journey to Ithaca. The Sirens, mythological creatures, known for their Bewitching song, with their Irresistible Melody, tried to lure him and his companions to their death. Ulysses, warned by the sorceress Circe, had himself tied to the ship's main mast and plugged the ears of his sailors with wax, thus managing to pass the island of the Sirens, without succumbing to their song. The Sirens, frustrated by their failure, committed suicide by throwing themselves into the sea.

    RispondiElimina
  2. Inviato dal Dott. Raimondo Anna MONTANARI (https://www.linkedin.com/in/ACoAAENJRfkBM39Ka6gIkW4GhitOxhfaYEnwUWI):
    E come insegna la Storia,
    dovremmo essere tutti prudenti come lo fu Ulisse.

    Nell'Odissea, Ulisse incontrò le Sirene, in un momento cruciale del suo viaggio di ritorno a Itaca. Le Sirene, creature mitologiche note per il loro canto ammaliante e la loro irresistibile melodia, cercarono di attirare lui e i suoi compagni verso la morte. Ulisse, avvertito dalla maga Circe, si fece legare all'albero maestro della nave e turarono le orecchie dei suoi marinai con la cera, riuscendo così a superare l'isola delle Sirene senza soccombere al loro canto. Le Sirene, frustrate dal fallimento, si suicidarono gettandosi in mare.

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