Il Passaggio di Potere in Siria e la perdita di Tartus nel contesto regionale e geopolitico globale
Il Passaggio di Potere in Siria e la perdita di Tartus nel contesto regionale e geopolitico globale
Di Paolo Falconio
Member of the Consejo Rector de Honor and lecturer at the Sociedad de Estudios Internacionales (SEI) di Madrid
Al momento dell’ invasione russa dell’ Ucraina, predissi che una guerra europea non era paragonabile a una guerra in Medio Oriente. Non perché i morti abbiano meno valore altrove, ma perché l’ Europa anche in questo momento storico di irrilevanza ha in sé la capacità di riflettere i conflitti interni fuori dai loro confini.
Quella che era una semplice guerra regionale si è tramutata in una sfida strategica a livello globale dove il primato egemonico degli Stati Uniti è stato percepito dalla Russia come intaccato da crepe strutturali tali da rompere gli indugi laddove gli interessi esistenziali russi sono stati minacciati. La pianura sarmatica, dove insiste l’ Ucraina ,rientra in questa categoria.
Di fatto il ritorno della Russia ad attore geopolitico globale ha avuto inizio molto prima ed è avvenuto ad esempio sfruttando la diplomazia atomica come leva geopolitica, offrendo tecnologia e finanziamenti in cambio di influenza politica, concessioni minerarie oltre al controllo sul debito.
Il tutto con una nuova narrazione terzomondista ereditata dalla vecchia URSS. Tuttavia il conflitto ucraino ha accelerato alcuni processi e quelli che erano solo vagiti di progetti futuri sono divenute realtà con cui doversi confrontare, basti pensare ai Brics.
Ovviamente un tale processo, per avere chance di successo ha visto il formarsi di un blocco Sino Russo che costituisce la spina dorsale dell’ alternativa, non al primato degli Stati Uniti, ma alla posizione egemonica degli stessi, ereditata dalla vittoria nella sfida con la vecchia Unione Sovietica.
Nella strategia di contenimento della Russia, la Siria appartiene sicuramente alle operazioni di successo. La Russia infatti ha perso il porto di Tartus e quindi il suo centro logistico nel Mediterraneo, oltre ad un alleato fedele quale era Assad.
In una ottica Geopolitica non si può non riconoscere il ruolo strategico avuto dalla base di Tartus per l’ accesso in Libia e al Mar Rosso, oltre che come nodo logistico per la proiezione in Sudan e nell’Africa Occidentale.
Tuttavia un rapporto del RUSI segnala che la Federazione Russa non aspirava e non aspira a mantenere una flotta per una guerra ad alta intensità nel Mediterraneo. Piuttosto una flotta adatta per una funzione di disturbo, di supporto per gli alleati, interventi in conflitti minori e raccolta informazioni.
È stata ed è strumento per la funzione di deterrente, ma se si guarda alla sua consistenza (11 navi di cui 3/5 ausiliare) in effetti la Russia non ha bisogno di un Hub navale importante per sostituire Tartus.
E tuttavia la Russia vuole mantenere il ruolo di attore strategico nel Mediterraneo e ciò significa che ha bisogno di una base operativa che le dia accesso al mare.
Gli ultimi report segnalano che sarà o il porto di Tobruk o quello di Bengasi nel golfo della Sirte.
Il porto di Tobruk necessiterà di investimenti per poter garantire le operazioni di rifornimento e manutenzione. Inoltre a Tobruk, la Russia si troverebbe costretta ad operare a stretto contatto con il traffico mercantile civile. Una scelta più ottimale sarebbe Bengasi che già è strutturata per la manutenzione e offrirebbe maggiori spazi per nuove strutture, senza dover operare con flotte mercantili eccessivamente vicine. La Libia inoltre già ospita la base aerea di Al Kadim gestita dai Russi. La base si trova nei pressi del porto di Bengasi ed è lì che molto del materiale presente in Siria è stato trasferito. Inoltre, secondo fonti del Foreign Policy, la Russia ha ricostruito la pista della base aerea di Maaten al-Sarra , costruito un nuovo deposito e potenziato la sua capacità logistica.
Maaten al-Sarra sembra quindi essere la sede prescelta per sostituire la base aerea di Latakia, rispetto alla quale offre due opzioni strategiche in più: una forte presenza vicino al Sahel e l’opportunità di rafforzare logisticamente le varie Compagnie militari private (PMC) create dopo lo smantellamento del Gruppo Wagner e della neo arrivata Africa Corps.
Il tutto in una cornice dove i russi sono i principali sostenitori del Generale Haftar che potrebbe fare concessioni importanti in termini di limitazioni all’uso delle infrastrutture.
Insomma con alcuni inconvenienti non insormontabili, la Russia manterrà la sua presenza nel Mediterraneo. Ulteriormente la Libia sarebbe funzionale al suo progetto di investimento (originariamente pianificato su Tartus) di 500 milioni di USD per espandere il suo ruolo come esportatore agricolo in Medio Oriente e Nord Africa.
L’ unico vero punto debole di questo assetto è l’ instabilità politica della Libia. La presenza turca non è vista dagli analisti come un impedimento, perché gli interessi dei due Paesi nell’ area non sono confliggenti e hanno dimostrato di saper convivere.
Sulla predisposizione di Haftar, gli ultimi eventi che hanno visto Il governo parallelo di Bengasi, respingere la delegazione europea composta dal ministro italiano Piantedosi, i ministri dell’Interno di Grecia e Malta, e il commissario europeo per le Migrazioni, Magnus Brunner, fanno pensare ad una scelta che non è di chiusura totale verso l’Europa, ma consapevole che il sostegno militare e finanziario è russo e turco. Inoltre se sarà Bengasi la nuova Tartus, è plausibile che l’ attuale contingente russo di 2.000 uomini sia destinato a salire.
Di fatto anche le complicazioni dovute alle operazioni di manutenzione e rifornimento della flotta, in attesa della predisposizione o creazione della base navale, potrebbero essere aggirate sfruttando le strutture algerine. L’ Algeria, alleato tradizionale della Russia, riceve l’ 85% del suo equipaggiamento e addestramento militare dalla Russia e l’ accesso alle strutture di manutenzione già esistenti potrebbe essere un compromesso relativamente innocuo per Algeri che non una base russa permanente.
Insomma tutto sembra confermare il ruolo della Libia come roccaforte per continuare a sfruttare gli interessi russi nel continente, in particolare in Africa centrale, Mali, Niger e Sudan.
Questo scenario che attualmente è il più plausibile potrebbe tuttavia mutare. Il recente riavvicinamento di Washington ad Haftar che vorrebbe un riconoscimento internazionale potrebbe comportare un cambio di postura meno favorevole ai Russi. Sicuramente Haftar non è Assad in termini di fedeltà. Se ciò avvenisse l’ Algeria sarebbe l’ estrema ratio per rimanere nel Mediterraneo, ma Algeri dovrà comunque tenere conto dei suoi rapporti economici con l’ UE , da cui provengono il 93% dei flussi economici in entrata.
L’alternativa sarebbe il Sudan, ma certo costringere la flotta russa a passare per Suez vorrebbe dire compromettere seriamente la sua operatività.
Nell’ ottica Geopolitica globale dobbiamo fare uno sforzo di comprensione. Quali sono le priorità Russe? Di conseguenza, passare da un approccio limitato ai contesti regionali a una visione sistemica dell’ordine mondiale.
Siamo sicuri che la Siria fosse così importante? Il Medio Oriente è pieno di attori e conflitti locali prima che regionali. I progressi strategici sono difficili da realizzare in Medio Oriente. In Africa, d’altra parte, Putin, come accennato nell’ introduzione ha organizzato un’imponente offensiva geopolitica, incentrata sulla riscoperta del terzomondismo comunista, sulla diplomazia nucleare, sulla vendita di armi (anche per creare mercati per l’economia di guerra) e sull’ex Gruppo Wagner ora sostituito dall’Africa Corps. La Libia e il Sahel di inseriscono in questo approccio globale al pari dell’artico.
Ai fini di questa analisi, la Siria e oggi la Libia di inseriscono in quel meccanismo che vede la guerra in Ucraina come un momento di transizione verso un riallineamento degli equilibri geopolitici a medio termine.
Mentre l’ America continua a pensare alla Russia come un attore di secondo piano in un’ottica di contenimento, la Russia sta giocando, assieme alla Cina, una partita globale assai rischiosa per gli USA se non sapranno cogliere il livello della sfida. Una sfida tanto pericolosa perché ideologica e fondata sulla delegittimazione dell’ Occidente e della politica Americana in particolare. Quindi una sfida che non si vuole giocare solo sul piano militare, ma anche sul consenso internazionale.
In questo senso alcune scelte fatte, ad avviso dello scrivente, sono il segnale di una sistematica sottovalutazione degli attori.
La figura di un ex jhiadista come Al Jolani per succedere ad Assad, di fatto impedisce la formazione di uno Stato Siriano che non sia percorso da continui scontri tra etnie e confessioni religiose, diverse dai beduini (nuovo nome per gli ex jhiadisti ), le quali chiedono aiuto all’estero, aprendo possibili varchi ad influenze esterne. La stessa Israele, l’ alleato principe degli USA, non può e non vuole consentire un assestamento di una Siria assoggettata a un movimento jhiadista che nei fatti recenti ha mostrato di non poter evolvere in qualcosa di altro, al di là delle operazioni di make-up diplomatiche. Basti pensare alle aggressioni ai cristiani , agli alawiti e da ultimo i Drusi, cosa che ha scatenato la reazione di Israele da sempre vicina a questo gruppo etnico religioso (anche se la reale motivazione a mio avviso è quella sopra espressa). Lo stesso Al Jolani, oggi Ahmed al-Sharaa, di fatto non può dissociarsi totalmente dal gruppo di potere che proviene da quel mondo e che lo sostiene sul territorio.
A meno che gli USA non provochino un cambio di assetto in Libia e pressioni in Algeria tali da costringere i Russi a passare per lo stretto di Suez dal Sudan. Cosa che davvero comprometterebbe l’ assetto strategico russo, la caduta di Assad ha complicato la vita ai russi, ma non ha un impatto strategico così significativo nel tempo, perché la penetrazione in Africa è già avvenuta e sembrano avere già un’alternativa. È altrettanto vero che i Russi avranno più difficoltà se il naviglio di superficie rimarrà quello attuale la cui autonomia operativa si basava su linee di rifornimento brevi. Detto questo la scelta infelice del successore di Assad , al momento non sembra in grado di garantire gli assetti della Regione, perché il controllo del territorio sfugge in parte al neonato governo Centrale e questa è un dato di fatto che renderà meno credibile l’annunciata adesione agli Accordi di Abramo. Il bombardamento Israeliano in fondo è un richiamo alla realtà sul territorio. Una miscela esplosiva in un Paese le cui infrastrutture sono al collasso e manca di tutto: elettricità, acqua, pane e cure mediche.
In ultimo una situazione che per l’ Europa comporta un rischio sicurezza. Dovrà vegliare che tra esuli e sfollati non si infilino cellule terroristiche che però non sono assimilabili ai pastori talebani. I siriani sono culturalmente raffinati e sarà difficile individuarli. Il che moltiplica la loro pericolosità e di conseguenza i rischi.
La partita globale passa anche per il Mediterraneo e per l’ Africa che arriverà nel 2050 ad una popolazione di due miliardi e mezzo di persone. Il numero è potere e l’ Europa che sia Roma, Madrid o Berlino, dovrà averci a che fare. In questa partita l’ Occidente può giocare un ruolo chiave purché abbandoni vecchi approcci e doppi standard. Il tempo delle politiche fatte a tavolino è finito perché oggi le nazioni hanno un’alternativa che sarà anche poco democratica, ma interviene o si presenta come fattore di sviluppo. Bisogna tornare a meccanismi di selezione della classe dirigente basate sul merito. La pace ibrida che viviamo interverrà anche sul fronte interno e anche qui non si può più continuare con logiche globaliste è una progressiva sperequazione dei livelli di ricchezza.
In conclusione di questa lunga disamina credo che anche se è un qualcosa che gli USA non vogliono sentire, perché è l’ ennesima sfida esistenziale, la partita è esattamente la stessa della guerra fredda. Dovremo convincere l’ opinione pubblica interna e internazionale della bontà del nostro modello di sviluppo, perché uno scontro diretto tra superpotenze nucleari non è pensabile. La NATO andrebbe rafforzata nello spirito di alleanza difensiva per la quale è nata e con essa la garanzia di sicurezza dell’ombrello nucleare americano, altrimenti niente impedirà la proliferazione nucleare. Abbiamo bisogno di economie solide redistribuitive, di politiche industriali, di innovazione, ma anche di eserciti credibili e di tanta buona diplomazia. In parole povere urge una vera strategia che tenga conto che il mondo è già cambiato e che abbiamo di fronte una sfida che é culturale prima ancora che politica. E la geopolitica ne dovrà tenere conto perché coinvolgerà il racconto stesso del modello occidentale.
Paolo Falconio
Tutti i diritti riservati
Commenti
Posta un commento