Towards War/Verso la Guerra/Hacia la Guerra

Towards War

By Paolo Falconio

Member of the Consejo Rector de Honor and lecturer at the Sociedad de Estudios Internacionales (SEI)

The signals I perceive lead me to believe we are heading toward war—whether through malice or ignorance.

The containment of emerging powers is happening, even with notable successes, but not without consequences. China and Russia continue to amass equipment and weapons systems. Russia, in particular, is not deploying them on the Ukrainian front.

The weakening of Russia had a clear military purpose:

1) Military capabilities

2) Economic strength

3) Willpower

Of these three, the economy is perhaps the only area where some success has been recorded, but the damage will come after the conflict. No nation has ever lost a war due to bankruptcy. On the other hand, European economies are shifting toward the arms industry. It’s true that rearmament is necessary, and I personally support it, yes—but there’s a difference between rearming while supporting the civilian economy and full industrial conversion. Betting on a military-industrial apparatus to drive the economy is madness from an economic theory standpoint. It has very few spillover effects on the civilian production system. It does not act as an economic engine. Even the Governor of the Bank of Italy stated this with absolute clarity.

And if it’s Germany—the European locomotive—doing it, then the issue becomes alarming, because that industry will need to be fed, and there’s only one way to feed it. Essentially, it eerily resembles the industrial model of 1933. In short, Europe (mainly Germany) and Russia are increasingly endorsing war economies. Russia has always been partially so, inheriting it from the old USSR, but now Europe is also leaning into this sector.

Unlikely but not impossible intra-European scenarios are emerging. A line of a thousand bunkers will stretch along the German-Polish border.

Back to the current issue: NATO has requested 300,000 combat-ready troops and equipment—and it will get them. Behind closed doors, discussions continue about the possibility of a preemptive strike and its planning. The idea is to strike Russia at its core now, or—if Ukraine collapses—there will be a war of attrition lasting fifteen years, which the U.S. would struggle to sustain (General Cavoli’s report to Congress).

These plans may have been shelved at the recent NATO summit, and General Cavoli, who supported the Ukrainian conflict, no longer holds his previous role—but the Russian threat remains.

The narrative from reckless analysts continues to claim that Russia is a nuclear bluff. Translation: war is possible.

Meanwhile, new flashpoints ignite around the world. In the Caucasus, Azerbaijan—caught between Russia and Iran—uses a pretext to shut down over two hundred Russian-language schools and is accused by Iran of being a base for Israeli drones. On the other side of the globe, China projects its fleet to the point of threatening the Guam base.

In the Pacific, the perception of risk is deep, and regional powers are working to defuse friction zones like the South China Sea (a trust is being considered). In Europe, however, the narrative of the Russian bluff and Russophobia continues—but Russia is no bluff. And without a new security architecture discussed between Russians and Americans (which isn’t happening), the alternatives are either a decade-long war of attrition (Gen. Cavoli) or a thermonuclear conflict—with all due respect to the conscience-less minstrels.

Diplomacy fails because it does not recognize the adversary (the aforementioned security architecture). What do we want? And what does Russia want? Without compromise on these questions, postures will remain unchanged.

We will reach a point where an incident or pretext could force events. If that happens, there will be mourning and sorrow, because it will be a war of mass destruction—and let it be clear that, since World War II, civilians have been legitimate targets.

No one wants war, but neither was World War I wanted—and we find ourselves in a scenario with many parallels to that period.

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Verso la Guerra

By Paolo Falconio

Member of the Consejo Rector de Honor and lecturer at the Sociedad de Estudios Internacionales (SEI)

I segnali che colgo mi portano a pensare che andiamo verso la guerra, per dolo o ignoranza.

Il contenimento delle potenze emergenti avviene, anche registrando successi importanti, ma con delle conseguenze. Cina e Russia continuano ad ammassare mezzi e sistemi d'arma. In particolare la Russia non li sta impiegando sul fronte ucraino.

il depotenziamento della Russia aveva un significato preciso in termini militari 1) Capacità militari 2) Forza Economica 3) Volontà. Di questi tre fattori l' economia è forse l' unico dove si sono registrati dei successi, ma i danni verranno dopo il conflitto. Nessuna Nazione ha mai perso una guerra per bancarotta. Di contro le economie europee si convertono all' industria delle armi. È vero il riarmo serve e personalmente lo sostengo, ma un conto è riarmarsi sostenendo l' economia civile , un conto è la riconversione. Puntare ad un apparato industriale militare per spingere l' economia è una follia in termini di teoria economica. Ha pochissime ricadute sul sistema produttivo civile. Non costituisce un volano per l' economia. È stato lo stesso Governatore di Banca di Italia a dirlo con estrema chiarezza. E se a farlo è la locomotiva europea tedesca, allora il problema assume dimensioni preoccupanti, perché quell' industria andrà alimentata e c'è un solo modo per alimentarla. In sostanza assomiglia in maniera preoccupante al modello industriale del 1933. In poche parole Europa (principalmente la Germania) e Russia stanno sempre più avallando delle economie di guerra. La Russia, in parte lo è sempre stata, la eredita dalla vecchia URSS, ma ora anche l'Europa punta su questo settore.

Si aprono anche scenari intraeuropei improbabili , ma non impossibili. Una linea di mille bunker percorrerà il confine tedesco con la Polonia.

Per tornare al nodo attuale, la NATO ha richiesto 300.000 uomini con relativi mezzi combat ready e li avrà. Dentro le sue stanze si continua a parlare della possibilità di un attacco preventivo con relativa pianificazione. L’ idea è di colpire la Russia al cuore adesso o, in caso di disfatta ucraina, ci sarà una guerra di attrito per quindici anni e gli USA avrebbero difficoltà a sostenerla (Relazione del Generale Cavoli al Congresso)

Queste determinazioni potrebbero essere state messe da parte nel recente vertice della NATO e il Generale Cavoli, che ha sostenuto il conflitto ucraino, non riveste più il ruolo di prima, ma la minaccia russa rimane.

La narrazione di sciagurati analisti continua a sostenere che la Russia sia un bluff nucleare. Tradotto le si può fare la guerra.

Intanto nel mondo si accendono nuovi focolai. Nel Caucaso, l'Azerbaijan stretto fra Russia e Iran decide con un pretesto di chiudere le oltre duecento scuole di lingua russa e viene accusato dall'Iran di essere la base per i droni israeliani. Dall' altra parte del mondo, la Cina si proietta con la sua flotta fino a mettere a rischio la base di Guam. Ma se nel pacifico la percezione del rischio è profonda e ci sono potenze Regionali che lavorano per disinnescare le zone di attrito come quelle sul mar cinese meridionale (si pensa a un trust),in Europa prosegue la narrazione del bluff russo e della russofobia,ma la Russia non è un bluff e le alternative, in assenza di una nuova architettura di sicurezza discussa tra russi e americani (cosa che non avviene) sono tra una guerra di logoramento decennale(Gen Cavoli)e un conflitto termo nucleare con buona pace dei menestrelli senza coscienza.

La diplomazia fallisce perché non riconosce il nemico (la famosa architettura di sicurezza di cui sopra). Cosa vogliamo noi? E cosa vuole la Russia ? Senza un compromesso su queste domande, le posture rimarranno invariate.

Arriveremo ad un punto dove un incidente o un pretesto potrebbero forzare gli eventi. Nel caso avremo lutti e pianto, perché sarà una guerra di distruzione di massa e sia chiaro che, sin dai tempi della seconda guerra mondiale, i civili sono un bersaglio legittimo.

Nessuno vuole una guerra, ma nemmeno la prima guerra mondiale era voluta e ci troviamo in uno scenario con molti parallelismi con quel periodo.

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Hacia la Guerra  

Por Paolo Falconio  

Miembro del Consejo Rector de Honor y lecturer en la Sociedad de Estudios Internacionales (SEI)


Los indicios que percibo me llevan a pensar que nos dirigimos hacia la guerra, por dolo o ignorancia.


La contención de las potencias emergentes se lleva a cabo, incluso con algunos éxitos importantes, pero con consecuencias. China y Rusia siguen acumulando medios y sistemas de armas. En particular, Rusia no los está utilizando en el frente ucraniano.


La debilitación de Rusia tenía un significado preciso en términos militares:  

1) Capacidades militares  

2) Fuerza económica  

3) Voluntad  

De estos tres factores, la economía es quizás el único en el que se han registrado éxitos, pero los daños vendrán después del conflicto. Ninguna nación ha perdido una guerra por bancarrota. En cambio, las economías europeas se están reconvirtiendo hacia la industria armamentística. Es cierto que el rearme es necesario, y personalmente lo apoyo, pero una cosa es rearmarse apoyando la economía civil, y otra es la reconversión. Apostar por un aparato industrial militar para impulsar la economía es una locura desde el punto de vista económico. Tiene muy pocos efectos sobre el sistema productivo civil. No constituye un motor para la economía. El propio Gobernador del Banco de Italia lo ha dicho con total claridad. Y si lo hace la locomotora europea, Alemania, entonces el problema adquiere dimensiones preocupantes, porque esa industria tendrá que ser alimentada, y solo hay una manera de hacerlo. En esencia, se parece de forma inquietante al modelo industrial de 1933. En pocas palabras, Europa (principalmente Alemania) y Rusia están cada vez más respaldando economías de guerra. Rusia, en parte, siempre lo ha sido, lo hereda de la antigua URSS, pero ahora también Europa apuesta por este sector.


También se abren escenarios intraeuropeos improbables, pero no imposibles. Una línea de mil búnkeres recorrerá la frontera alemana con Polonia.


Volviendo al punto actual, la OTAN ha solicitado 300.000 hombres con sus respectivos medios listos para el combate, y los tendrá. Dentro de sus salas se sigue hablando de la posibilidad de un ataque preventivo con la correspondiente planificación. La idea es golpear a Rusia en el corazón ahora o, en caso de derrota ucraniana, habrá una guerra de desgaste durante quince años que EE. UU. tendría dificultades para sostener (Informe del General Cavoli al Congreso).


Estas determinaciones podrían haber sido dejadas de lado en la reciente cumbre de la OTAN, y el General Cavoli, que apoyó el conflicto ucraniano, ya no ocupa el mismo cargo, pero la amenaza rusa permanece.


La narrativa de analistas imprudentes sigue sosteniendo que Rusia es un farol nuclear. Traducido: se le puede hacer la guerra.


Mientras tanto, en el mundo surgen nuevos focos de tensión. En el Cáucaso, Azerbaiyán, atrapado entre Rusia e Irán, decide con un pretexto cerrar más de doscientas escuelas de lengua rusa y es acusado por Irán de ser la base de los drones israelíes. Al otro lado del mundo, China proyecta su flota hasta poner en riesgo la base de Guam. Pero si en el Pacífico la percepción del riesgo es profunda y hay potencias regionales que trabajan para desactivar las zonas de fricción como las del mar de China meridional (se piensa en un fideicomiso), en Europa continúa la narrativa del farol ruso y la rusofobia, pero Rusia no es un farol y las alternativas, en ausencia de una nueva arquitectura de seguridad discutida entre rusos y estadounidenses (algo que no ocurre), son entre una guerra de desgaste de una década (Gen. Cavoli) y un conflicto termonuclear, con el beneplácito de los juglares sin conciencia.


La diplomacia fracasa porque no reconoce al enemigo (la famosa arquitectura de seguridad mencionada). ¿Qué queremos nosotros? ¿Y qué quiere Rusia? Sin un compromiso sobre estas preguntas, las posturas permanecerán inalteradas.


Llegaremos a un punto en el que un incidente o un pretexto podrían forzar los acontecimientos. En tal caso, habrá duelo y llanto, porque será una guerra de destrucción masiva, y que quede claro que, desde los tiempos de la Segunda Guerra Mundial, los civiles son un objetivo legítimo.


Nadie quiere una guerra, pero tampoco se quiso la Primera Guerra Mundial, y nos encontramos en un escenario con muchos paralelismos con aquel período.


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