Venti di Guerra?
Venti di Guerra?
Di Paolo Falconio
Member of the Honorary Governing Council and Lecturer at the Society of International Studies (SEI)
Mentre Trump, dice cose sulle quali ormai non mi soffermo più di tanto, perché si è capito che domani potrebbe affermare l' esatto contrario, vorrei spendere due parole sull'imminenza della guerra che sembra dominare i media e non solo.
il primo punto è politico: un voto al Congresso che permettesse all' America di scendere in guerra, contro o con il sostegno di Trump vorrebbe significare una maggioranza coesa, cosa che negli USA al momento non c' è. Ci sono almeno due destre in America se non tre. E non la pensano allo stesso modo né sulla postura americana, né a quali nemici dare la priorità. Tra l' altro questo panorama politico parcellizzato ha dei riflessi molto importanti sul piano dell'affidabilità delle politiche di sicurezza USA in termini di mantenimento degli impegni e coerenza strategica in un momento in cui serve e si chiede agli alleati di esporsi maggiormente a sostegno della politica estera americana.
Poi bisogna ragionare in termini realistici. Dal mio punto di vista le guerre dipendono da due fattori: Uomini e capacità industriali/tecnologiche. Il conflitto in Ucraina ha dimostrato un vulnus dell' Occidente sia in termini di personale, sia un serio problema di base industriale. I dati forniti dalla Rand corporation sono impietosi: dipendenza USA ed Europea per i sistemi a tecnologia avanzata da materie critiche (metalli rari) cinesi, linee di produzione decisamente meno capaci di quelle russe (non parliamo dei cinesi) e con una filiera produttiva fragile, dove magari un componente é prodotto da una sola azienda, fa da tappo a tutta la produzione. In alcuni casi si sono perse anche le capacità. Emblematica la vicenda degli stinger (missili antiaerei da spalla) , la cui linea di produzione era stata chiusa. La Rayethon, vista la nuova richiesta, ha dovuto richiamare gli ingegneri ormai settantenni. Ora già molto é stato fatto dal 2022 per aumentare la capacità produttive, ma per sopportare i ritmi di una guerra ad alta intensità il processo è lungo. Ci vogliono anni e nell' immediato, per alcuni sistemi, la priorità è reintegrare le scorte strategiche.
Intendiamoci l' America conserva una capacità, sottovalutata da molti, di proiettare distruzione nel mondo come nessuno, ma il problema è che se vuoi difendere Taiwan devi andare in Cina. Idem con la Russia, e senza una base industriale solida potresti trovarti in difficoltà. Il potenziale distruttivo USA si fonda sulle teorie della Blitzkrieg. Logiche che difficilmente possono applicarsi contro potenze come Russia e Cina, dotate di profondità territoriale, resilienza e volontà politica. L’Europa, priva di autonomia militare e tecnologica, rimane subordinata alla strategia americana e incapace di sostenere da sola un conflitto prolungato.
Infine, il fattore umano che rappresenta un ulteriore limite: la riduzione del personale militare negli eserciti occidentali riflette l’assunzione, dopo la fine della Guerra Fredda, di un paradigma “post-storico” alla Fukuyama, in cui si dava per scontata l’assenza di guerre convenzionali ad alta intensità. Ma il problema è più profondo e riguarda le società emerse dalla globalizzazione. Abbiamo esaltato l' individualismo più deteriore a danno della collettività. Al contrario, Russia e altre potenze revisioniste mostrano una disponibilità a sostenere perdite significative, inserendo il sacrificio nel quadro di una narrazione storica e identitaria. Intendiamoci, questa contrapposizione non deve essere semplificata: anche nei sistemi autoritari il costo umano pesa e genera tensioni interne, ma il fenomeno è più circoscritto. E comunque abbiamo di fronte collettività pronte a pagare in tributo di sangue e che vogliono stare sui libri di storia. Risultato i Russi reclutano una media di 30.000 uomini l' anno in un contesto di guerra, la Royal Navi non copre neanche il fabbisogno base per l' impiego dei mezzi navali. E questo vale, con poche eccezioni, per tutto l’Occidente. Cambiare mentalità richiederà tempo e una nuova pedagogia strategica.
Allora perché tanta paura?
Questa dinamica aumenta il potenziale di escalation, con il pericolo concreto che Mosca, percependo una minaccia esistenziale, possa ricorrere all’impiego di armi nucleari tattiche come strumento di deterrenza e creare una zona di interdizione al fine di porre fine a quello che considera un vero e proprio assedio ai suoi confini. Arma nucleare tattica é un eufemismo poiché è fino a 10 volte più potente della bomba ad Hiroshima. Sappiate che nella guerra in Ucraina ci siamo andati vicinissimi e solo attraverso un accordo per far evacuare le truppe russe da kherson ne ha impedito l' uso.
Infine, la narrazione pubblica della guerra rischia di alimentare una pericolosa polarizzazione: la riduzione del conflitto a tifo da stadio e la disumanizzazione del nemico abbassano le soglie di contenimento e accrescono il rischio di un incidente non controllato che possa degenerare in uno scontro diretto. Le recenti vicende che siano provocazioni o false flag , non possono considerarsi attacchi e a dirlo é la NATO. Eppure i media e alcuni governi sembrano alla ricerca di un casus belli mediatico per sostenere politiche magari anche giuste, ma amplificando il rischio che a qualcuno in prima linea saltino i nervi e il casus belli lo si trovi davvero. In questo quadro, la stabilità internazionale dipende sempre più dalla capacità delle grandi potenze di gestire e rispettare le rispettive sfere d’influenza senza superare linee rosse implicite.
Mi stupisce solo che ancora non sia divampatoo l' incendio e la cosa più triste è che ci sono domande senza risposta. Perché i Russi ci dovrebbero invadere? Il ruolo della NATO, è davvero solo un’alleanza difensiva o tende ad assumere una funzione globale di “poliziotto”? E soprattutto: l’interesse strategico di sostenere alcuni scenari di conflitto giustifica i rischi di escalation? Infine, ma forse la riflessione più importante, questa guerra in Ucraina l' abbiamo vinta o la stiamo perdendo? perché a mio modo di vedere, forse una coincidenza, ma dai BRICS alla SCO, dal momento dell' inizio delle ostilità, queste organizzazioni hanno subito un impulso impressionante. Una dinamica che ci segnala la progressiva transizione verso un ordine multipolare, in cui l’egemonia americana viene messa in discussione.
In ultimo, agli investimenti in armi, che sono sacrosanti con un vicino con 1.500.000 uomini, devono seguire in parallelo investimenti in una cultura politica capace di prevenire l’escalation e il proliferare dei conflitti.
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